“Sabato un suicidio di un detenuto, ieri un poliziotto che ha perso un occhio, ora basta, i poliziotti per protesta si incatenano, bruciano le tessere e continua la raccolta delle firme per il passaggio al ministero degli Interni”.
Così il segretario nazionale del Sappe, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, Federico Pilagatti, a proposito del carcere di Taranto dove nei giorni scorsi si era verificato il suicidio di un detenuto locale.
Ieri un Poliziotto della penitenziaria è rimasto ferito in modo serio.
Sabato il Sappe rappresentò “per l’ennesima volta” la grave situazione del penitenziario jonico “dove per colpe assai precise del ministro della Giustizia, dei vertici del Dap e del provveditore regionale.
La situazione è diventata ingestibile e difficilmente recuperabile, a causa della prepotenza e della violenza dei detenuti a cui viene consentito di tutto e di più”, denuncia Pilagatti.
“In questo contesto i poliziotti penitenziari sono quelli che pagano le conseguenze di questo fallimento voluto dallo Stato Italiano”.
Ieri mattina un poliziotto ha ricevuto un pugno in faccia “improvvisamente e senza alcuna motivazione”, da un detenuto di origini siciliane “esponente di rilievo di un noto clan, in carcere per reati mafiosi e classificato di massima pericolosità”.
All’agente si sono rotti gli occhiali.
“Non contento, lo stesso detenuto finiva la sua opera con un calcio sulla faccia del poliziotto”, aggiunge Pilagatti.
L’energumeno, riferisce il Sappe, è stato bloccato dai colleghi della vittima che hanno assistito all’aggressione e lo hanno bloccato.
Inoltre hanno soccorso il poliziotto trasportato con il 118 all’ospedale civile. Rischia di perdere un occhio.
Nei giorni scorsi il Sappe si chiedeva “se doveva scapparci il morto per prendere provvedimenti nel carcere di Taranto perché intervenisse l’amministrazione penitenziaria.
Invece nulla, il ministro, i vertici del Dap, il provveditore regionale assistono impassibili a questa ennesima tragedia – continua il sindacato – disinteressati, indifferenti quasi non fosse cosa loro nonostante i cospicui appannaggi che percepiscono mensilmente, mentre le carceri Italiane sono praticamente in autogestione dei detenuti che ormai fanno quello che vogliono, contando sul fatto che si è abdicata la sicurezza depotenziando l’unico baluardo a difesa della legalità e delle istituzioni all’interno dei penitenziari”.
Raffaele Longo- PugliaPost