Lecce è una delle città del sud ricche a livello architettonico, quando si passeggia per Lecce non si può e non si deve dare nulla per scontatto, anche perchè fare ciò sigificherebbe perdersi un momento di storia del capoluogo Salentino, quando parliamo di Lecce non possiamo non parlare dell’arco di Prato “DE LU ARCU DE PRATU” da cui ne esce un inno alla città.
L’ Arco di Prato, nell’omonima piazzetta, prende il nome da Fra Leonardo Prato, un illustre capitano dell’Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani, vissuto tra il XV e il XVI secolo, la cui nobile famiglia era di origine leccese. Egli si distinse nel 1479 a Rodi, nella battaglia contro i turchi e intervenne proficuamente qualche anno dopo nel patteggiamento delle condizioni della pace con il Pascià. Fu a lungo al servizio degli Aragonesi ed ebbe un ruolo di primo piano nelle vicende dell’assedio della città di Taranto, alla fine del XV secolo. Sotto gli Aragonesi ottenne numerosi privilegi, tra cui il diritto di asilo nella sua casa.
Ma tornando al monumento del Cinquecento è un ampio arco a tutto sesto, sorretto da possenti pilastri quadrangolari, sorregge una loggia con colonnine e paraste scanalate.
Una curiosa leggenda su questo pezzo di storia locale narra che Leonardo Prato, uno degli esponenti della potente famiglia leccese, aveva ottenuto dal sovrano Carlo V una speciale concessione: chiunque passava sotto l’arco non poteva essere arrestato.
Mentre la storia racconta invece che re Re Ferdinando IV di Borbone era in visita a Lecce in occasione delle nozze del principe ereditario Francesco con Maria Clementina d’Asburgo. Il sindaco di Lecce Oronzo Giosuè Mansi, in giro per la città con il Borbone, indicò al Sovrano l’Arco quale esempio di bellezza architettonica, ma il Re rispose in malo modo “me ne fotto”, manifestando il proprio disinteresse, e da li prendendo spunto dal Re i Leccesi ancora oggi usano la parola “arcu de pratu” quando non sono interessati a qualcosa.
Arcu de Pratu non è solo un monumento ma è anche inno musicale della città Leccese, La canzone Arcu de pratu venne scritta nel 1938 da Menotti Corallo e fu musicato da suo fratello Gino, era cantato dal Trio leccese.
Poi negli anni Settanta fu reinterpretato da Gino Ingrosso, col gruppo Liscio del Salento.
Il maestro Ingrosso in quell’occasione dovette riscriverne la musica, in quanto lo spartito originale non era più disponibile.
Negli anni Ottanta fu la volta di Bruno Petrachi, quest’ultimo però riprese solo alcune strofe del testo originario, tralasciandone alcune.
Nella versione più completa ne descriveva i caffé all’aperto, con tante persone che discutono animatamente degli argomenti più vari. Cantava l’arguzia dei leccesi, la loro capacità di riuscire a prendere anche le situazioni più gravi con il sorriso, come il caso del pover uomo che, ormai in rovina e con la casa sotto sequestro, sostituì i mobili di casa con dei blocchi di pietra, facendo rimanere senza parole l’esattore.
Ma non possiamo non concludere con le parole della canzone poi cantata da Bruno Petrachi: “Sìmu leccesi core presciatusòna maestru arcu te Pratu“
Raffaele Longo – Puglia Post